Caravaggio a Messina
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LUCI E OMBRE DI UN DELITTO – Caravaggio in indagine
di Sergio Gallitto
Caravaggio a Messina e le sue opere
Caravaggio approda a Messina alla fine del 1608. Proviene da Siracusa, dove ritrova un amico dei tempi romani anch’egli pittore, Mario Minniti, e dove esegue, per i frati francescani, la tela il Seppellimento di Santa Lucia, posta sull’altare maggiore della chiesa di Santa Lucia al sepolcro. A Siracusa il pittore era giunto dopo la fuga dal carcere di Sant’Angelo, a La Valletta, ove era stato rinchiuso con l’accusa di avere ferito gravemente un confratello durante una rissa scoppiata tra gli stessi Cavalieri di Malta. A Malta - tappa intermedia della lunga peregrinazione del pittore, che toccherà diverse località, dopo la partenza precipitosa da Roma a seguito della morte di Ranuccio Tomassoni, di cui fu accusato - Caravaggio era stato nominato, infatti, Cavaliere di Obbedienza Magistrale dell’Ordine dei Gerosolimitani: dopo l’evasione, fu espulso dall’Ordine e bollato come “membrum putridum et foetidum”.
A Messina, Caravaggio riceve l’incarico, dal ricco notabile Giovanni Battista Lazzari, di eseguire una pala per l’altare maggiore della chiesa dei Santi Pietro e Paolo di proprietà dei padri camilliani, i Padri Crociferi. Il contratto originario prevedeva un soggetto (una Madonna con un san. Giovanni Battista e altri santi) diverso da quello infine realizzato, La resurrezione di Lazzaro: non si conoscono i veri motivi del cambio del tema da rappresentare.
Il biografo Francesco Susinno (Messina 1670-1739), ne "Le Vite de' pittori Messinesi" del 1724, riferisce un episodio che avrebbe avuto per protagonista l’artista durante il suo soggiorno a Messina. Racconta come il pittore avesse preso a seguire da lontano una scolaresca, forse alla ricerca di un modello per un quadro. Un giorno il pittore, all’arsenale vecchio del porto, avrebbe mostrato un’eccessiva curiosità nei confronti degli allievi di un maestro che osservava con singolare interesse. Alcuni ragazzi sarebbero stati distratti dai modi e dalla notorietà di Caravaggio, al che il loro maestro, tale Carlo Pepe, infastidito, avrebbe chiesto, in modo irriguardoso e insinuante, spiegazioni al pittore sul suo comportamento. Caravaggio, per tutta risposta, lo avrebbe ferito alla testa con la spada, probabilmente colpendolo di piatto.
Ancora il Susinno, riferisce che Caravaggio avrebbe addestrato, a eseguire alcuni giochi, un cane randagio, di pelo nero, che spesso accompagnava il pittore.Caravaggio lascia Messina nell’estate, o all’inizio d’autunno, del 1609. Non ci sono documenti certi circa un suo soggiorno a Palermo ─ dopo la partenza dalla città peloritana ─ dove avrebbe eseguito la Natività con i santi Lorenzo e Francesco D’Assisi per l’altare dell’Oratorio di San Lorenzo, adiacente alla chiesa di San Francesco d’Assisi: il dipinto, in ogni caso sicuramente autografo, è stato trafugato, da ignoti, nell’ottobre del 1969 e non è stato ancora ritrovato.
Gli ultimi mesi di vita Caravaggio li trascorre a Napoli, dove giunge in ottobre, ed è qui, nei pressi della locanda del Cerriglio, che subisce un tentativo d’assassinio per opera di sicari, mandatari di alcuni Cavalieri di Malta, che volevano vendicarsi per torti subiti: il pittore riesce a salvare la vita ma rimase gravemente ferito al volto. Alla metà di luglio del 1610 s’imbarca su una feluca con l’intenzione di raggiungere Roma: porta con sé tre dipinti (il San Giovannino Battista, il San Giovanni disteso e la Maddalena in estasi) destinati al cardinale Scipione Borghese. Da questo momento in poi le notizie sono confuse e le ipotesi, avanzate dagli studiosi, diverse: sbarcato a Palo (Ladispoli, a circa quaranta chilometri da Roma), fu ivi arrestato, forse per errore. Liberato, dopo aver chiarito l’equivoco, si sarebbe incamminato alla volta di Porto Ercole, a nord di Palo, nel tentativo di raggiungere la feluca che, nel frattempo, era ripartita. Di certo c’è che il pittore non raggiunse mai Roma e che l’ultima tappa della sua tormentata vita fu Porto Ercole dove Caravaggio morì il 18 luglio del 1610 a soli trentanove anni, per malattia, nell’ospedale di S. Maria Ausiliatrice. L’atto di morte fu rinvenuto, nel 2001, nei registri della parrocchia di Sant'Erasmo, in un libro dei conti del 1656.
La tela raffigurante Il seppellimento di Santa Lucia, si trova dal 2010 a Siracusa nella chiesa di Santa Lucia alla Badia, il cui prospetto chiude il lato meridionale della piazza Duomo nel centro storico dell’isola di Ortigia.
Il dipinto La resurrezione di Lazzaro, è conservato al Museo regionale di Messina “Maria Accascina”. Tra il 2011 e il 2012, la tela è stata sottoposta a un intervento di restauro, durato otto mesi, curato dall'Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro del Ministero per i Beni e le attività Culturali. In seguito al restauro, dopo una breve esposizione a Roma, il dipinto è ritornato nella sua naturale sede a Messina dove è stato ufficialmente ripresentato al pubblico il 25 Luglio 2012. Attualmente il dipinto, assieme all’altra grande opera messinese di Caravaggio l’Adorazione dei pastori, è esposto in una nuova sala del museo, recentemente ampliato.
A proposito de La resurrezione di Lazzaro, Francesco Susinno (Messina 1670-1739), sacerdote, pittore e biografo, ne "Le Vite de' pittori Messinesi" ─ che scrisse nel 1724 ─ riferisce che Caravaggio distrusse una prima tela, irritato da alcune critiche negative sul quadro: "Michelangelo colla solita impatienza sguainò il pugnale che in ogni tempo al fianco portar soleva; gli dié tanti infuriati colpi che ne restò miseramente squarciata quell'ammirabile pittura". Il Susinno racconta ancora che, durante l’esecuzione della seconda tela, Caravaggio avrebbe brandito minacciosamente il solito pugnale per costringere i "facchini" a sorreggere un cadavere "già puzzolente di alcuni giorni" che il pittore, per restare fedele al realismo a imitazione della natura nei suoi dipinti, aveva preteso per raffigurare Lazzaro. Gli episodi riferiti non sono stati confermati da altre fonti e la maggior parte dei critici le fa rientrare nell’aneddotica, perlopiù ripresa dal Susinno e da altri autori, tendente a fare apparire il pittore come bizzarro, violento e iroso. Il Susinno arrivò a definirlo «pazzo che non può dirsi di più» ma anche un committente messinese del tempo, Niccolò di Giacomo, disse di Caravaggio: «questo pittore ha il cervello stravolto.»
Cristo e l’adultera, o Cristo assolve l’adultera, è un dipinto di piccole dimensioni (146 per 103 cm) che fa parte di una collezione privata. È stato attribuito a Caravaggio dal critico d’arte Maurizio Marini, studioso del pittore e considerato uno dei massimi esperti, che ne indica l’esecuzione nel periodo messinese dell’artista.
Il piccolo quadro con il ritratto di Gelsomina (Maria Sidoti) non è stato mai eseguito da Caravaggio né da nessun altro artista. Trattasi dunque di una mia invenzione letteraria.
Oltre alla Resurrezione di Lazzaro e Cristo e l’adultera (attribuzione), durante il suo pur breve soggiorno a Messina, il Caravaggio realizzò altre opere. I critici e gli studiosi non concordano unanimemente sull’esecuzione di alcune di esse nel periodo in argomento. Quelle sicuramente dipinte a Messina, sono: l’Adorazione dei pastori, commissionata dal Senato di Messina per la chiesa dei PP. Cappuccini (chiesa non più esistente) e ora al Museo regionale di Messina; l’Annunciazione, dipinta per il duca di Lorena (Nancy, Musée des Beaux-Arts); l’Ecce Homo, una delle quattro scene della passione di Gesù, commissionate dal già citato Niccolò di Giacomo (New York, collezione S. F. Cortez), Le altre opere, la cui esecuzione a Messina è probabile ma controversa, sono: il Ritratto di Cavaliere di Malta o Ritratto di Antonio Martelli, nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, a Firenze (cfr la seguente Nota sui personaggi - ANTONIO MARTELLI); la Visione di San Gerolomo, che si trova a Woncester (Massachussets - USA) Museum of Fine Arts; il Cavadenti (Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti); Salomè con la testa del Battista nel bacino (Madrid, Patrimonio Nacional, Palacio Real).
Uno degli ultimi dipinti di Caravaggio, raffigura David con la testa di Golia. La tela fu dipinta dal pittore per il cardinale Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V, con l’intenzione di sollecitarlo a revocare la condanna alla pena capitale che pendeva sul capo del pittore. Il riferimento alla sua vicenda personale è evidente, Sulla lama impugnata da David, è possibile, anche se non facile, leggere le lettere H-AS O S. Alcuni studiosi hanno interpretato la scritta come la sigla che riassume il motto di Sant’Agostino, Humilitas Occidit Superbiam, ossia l'umiltà uccise la superbia. Sergio Rossi, nel suo saggio "Arte come fatica di mente" (Roma 2012, pp. 110 e ss.) sostiene che il dipinto sarebbe in realtà un doppio autoritratto, anzi più precisamente una doppia autoidentificazione: il Merisi si sarebbe rappresentato cioè sia nei panni di Golia che in quelli di David.
Si tratta della terza versione offerta dall’artista sullo stesso tema: fu eseguita nel suo secondo soggiorno a Napoli, tra il mese di ottobre 1609 e la prima metà del 1610. Delle altre due, la prima, ora al Museo del Prado di Madrid, fu dipinta tra il 1597 e il 1598, la seconda, conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna, nel 1607.